mercoledì, febbraio 29, 2012

Dividere a metà

Oggi ho provato ad insegnare come si fa la metà di un numero e che fare la metà significa divider per due.
Ho provato ad insegnarlo ad Igor.
Igor ha dodici anni, frequenta una prima media ed è un profugo della exYugoslavia. E' in Italia grazie ad un progetto europeo di protezione famigliare (e altro non si sa), ma è in Italia da tre anni e la guerra è finita nel '95.
I conti non tornano, ma con lui nulla torna.

Pare un animaletto selvatico e non conosce regola alcuna della comune convivenza. Parla un italiano approssimativo con cui si fa capire bene dai compagni, loro lo sopportano con affetto, ma lo sopportano.
Nei primi mesi di scuola ha distrutto tutti i suoi quaderni per fare palle di carta da lanciare in classe, poi, dopo la mia ennesima mia sfuriata, è sceso a più miti consigli e ha trascorso ore a tagliare i fogli dei suoi quaderni in rettangolini che poi tirava verso i compagni con un elastico, per fortuna mancandoli regolarmente. O forse non era fortuna? Spesso aveva atteggiamenti provocatori: si alzava ed andava in giro per la classe, gattonava tra i banchi, faceva agguati ai compagni per far loro dispetti e si offendeva teatralmente se veniva rimproverato, negando l'evidenza.
Ogni tanto cantava.
Tutto questo avrebbe potuto essere una posa, una sfida.
Se avessi saputo di più forse sarei riuscita a decodificare alcuni comportamenti.
Ma di lui non si sapeva niente.

Il padre aveva rifiutato quasi ogni spiegazione ed ogni aiuto: aveva rifiutato il doposcuola e lo psicologo affermando che suo figlio non era matto e che lui gli avrebbe insegnato i conti e l'italiano.
Spesso, nelle ore di buco, ho cercato di parlare con Igor per capire che scuole avesse frequentato nella sua terra, ma senza successo. Le sue affermazioni erano contrastanti con quelle del padre che diceva avesse frequentato regolarmente, mentre lui affermava di avere ricordi confusi e di aver frequentato molto poco.
Con Igor dovevo prendere sempre il discorso alla larga, su cose piccole, i prati, l'erba, i giochi. Appena si accorgeva che riuscivo a raccogliere qualche informazione su di lui si trincerava su un: non mi ricordo.
Non mi ricordo dove sono andato a scuola
Non mi ricordo che classi ho fatto
Non ricordo dove abitavo
Non ricordo se avevo amici.
La sua vita pare iniziare tre anni fa, del prima non si riusciva a sapere nulla.

Igor non sa le cose più elementari, non sa fare una semplice sottrazione a due cifre, non conosce le tabelline, ma ciò che è peggio non è ,per ora, in grado di elaborare sistemi di calcolo alternativi che gli consentano di inserirsi nella società civile.
Ho portato con me banconote di tutte le pezzature, ma non sapeva, con le banconote in mano, calcolare un resto.
-Se tu hai 50€ e devi pagare una pizza che costa 7€, quanto ti daranno di resto? -
Nulla, nulla e nulla!
Non era in grado di capire cosa io gli stessi chiedendo.
Nella sua testa c'erano ( e ci sono ancora ) mucchietti di nozioni diligentemente accatastate, ma non sa costruirsi un link, non sa elaborare un procedimento da poter estendere in situazioni simili e per disperazione, davanti alle continue sconfitte, dimentica tutto.
Non è che finge di dimenticare!
Dimentica!

In classe è ingestibile, l'unico mezzo che con lui funziona è quello fisico: spesso l'ho strattonato per farlo smettere, per farmi ascoltare e poi gli ho sorriso e l'ho accarezzato per fargli capire che ero con lui. Lui ogni volta, dopo queste mie performance, mi ha guardata dritto negli occhi e mi ha sorriso. Lui ha capito che stavo cercando di comunicare e mi ha detto: “non lo faccio più”.
Poi l'ha rifatto, ma sempre più raramente.
Con lui ho recitato e recito a soggetto, perché tutte le regole imparate ai mille corsi di aggiornamento non servono.
Igor non è alfabetizzato nella sua lingua madre, non ha stimoli famigliari, non esce quasi mai di casa.
Igor è come un bambino di cinque anni e ne ha 12.
MA !! io voglio portarlo a sciare in settimana bianca.

Dopo migliaia di telefonate e contatti sono riuscita a trovare un'associazione disponibile ad aiutarmi economicamente, o meglio, ad aiutarlo.
Sebbene il padre non ne volesse sapere di questa avventura montana, di una uscita dal bozzolo famigliare in cui è stato sempre tenuto e in cui è stato deprivato di moltissime conoscenze, ho forzato in tutti i modi. Alla fine ho portato a scuola la tuta da sci e i guanti di mio figlio, i doposci della figlia di un'amica e glieli ho dati.
-Non è che mi freghi vero? Non è che io mi rompo in quattro per farti venire in settimana bianca e tu dici che non vuoi?-
Di nuovo ho incontrato il suo sguardo, il suo sorriso incerto, e mi ha detto:
-Io non so stare con sci-
-Metà dei tuoi compagni non sanno sciare-
-Allora prometto, non frego!-
E così il padre ha ceduto.
E così lui è partito, con tutta la sua classe.

Dalle colleghe mi è stato detto che andavo a cercarmi guai, che era ingestibile, che l'avrei rimandato a casa dopo il primo giorno. Ma lui è stato bravo: dopo i primi disastrosi pranzi ha imparato a stare a tavola, copiando dai compagni. Ogni volta che faceva qualche cosa che pensava “non consono” cercava il mio sguardo ( da tre tavoli di distanza) e se io ero rabbuiata cambiava tattica, finché trovava la strada giusta. Non ha fatto confusione, non si è inimicato i compagni e ha imparato a sciare.
Il suo modo di rapportarsi con la calasse è cambiato ed ora, che la vita quotidiana di aula è ricominciata, è tutto più soft.
Mi ha detto che è stato molto bene in montagna e che vuole tornarci ancora.
Ora riesco a parlare con lui e a farlo lavorare in classe, per brevi periodi, ma ci riesco.
Ho dovuto calare sempre più il livello delle schede di lavoro preparate per lui, ora siamo alla divisione per due, siamo all'inizio della scuola, ma pare curioso.
Ogni volta che posso lo tiro fuori dalla classe per venti minuti: per lui sono il massimo possibile dell'attenzione.
Oggi ho, per l'ennesima volta, cercato di spiegargli il concetto del dividere.
Ho lavorato con i regoli e alla fine ha capito che i mucchietti dovevano essere uguali affinché il risultato fosse giusto. E' riuscito anche a capire il concetto graficamente. Era contento di non aver, per l'ennesima volta, fallito e, con il suo tipico modo di cambiare repentinamente argomento, mi ha detto:
- dopo provo scrivere sul blog di classe.-
Lo farà?
Forse oggi no.
Ma l'intenzione c'è ed è un risultato che fa ben sperare.
Mi fa sperare che, in qualche modo, riuscirò ad insegnarli alcuni concetti fondamentali per la sopravvivenza urbana.

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